Il dolore dell’autrice investe il lettore a ogni pagina, ogni riga di questo libro.

La scelta delle parole, lo stile scarno e diretto, l’assenza di edulcorazioni e abbellimenti a posteriori della realtà: tutto punta all’essenzialità.
Teresa Ciabatti sembra voler accentuare solo i lati negativi, ambigui, oscuri; non si concede perdono o clemenza, è lucida e spietata.

Non si dà pace, non trova requie: scava nel passato suo e delle sua famiglia, indaga, ricostruisce, immagina. Cerca una colpa, un peccato originario, qualcosa o qualcuno a cui dare la responsabilità della sua infelicità cronica.
Teresa ha bisogno di sentirsi migliore di chi le ha fatto del male in passato, per legittimare la sua sofferenza presente. Si insinua in lei però il dubbio: davvero le cose sono andate così? O le ha distorte per farle aderire ai suoi ricordi?

“Chi è migliore? Colui che sopravvive al dolore, e io lo sono, io sono qui, sopravvissuta al buio del passato (era così buio?), al gorgo di un’infanzia infelice (ma poi: era così infelice? Sii onesta, Teresa Ciabatti…). Io sono una sopravvissuta, e voi no.”

D’altra parte: importa davvero com’è la realtà? Siamo il risultato della nostra percezione del mondo, non del mondo in sé. Viviamo esperienze, non oggetti. Non conta come sono accadute le cose, ma solo come hanno inciso su di noi, in che modo le abbiamo assorbite.
Teresa si descrive così: “Non so prendermi cura di nessuno, ho iniziali slanci di sentimento che subito muoiono lasciando le persone spiazzate: che ti ho fatto?”

Ha paura delle relazioni, dell’impegno, della continuità. Paura della serenità. Quella che può dare un rapporto equilibrato con se stessi e con gli altri. E allora meglio fuggire, andarsene prima di essere ferita, prevenire l’abbandono.
Come quello di sua madre, che per un anno intero scomparve, ibernata in un sonno indotto. La bella addormentata in carne e ossa, solo che non era una fiaba.

Fu per decisione del padre, il Primario Lorenzo Ciabatti, che Teresa – e suo fratello gemello Gianni – furono privati della madre per 12 mesi; doveva curarsi dalla depressione, era la diagnosi indiscutibile di quel padre divinità, monarca assoluto del piccolo mondo di Orbetello. Osannato, adulato, temuto, servito: quest’uomo chi era davvero?

Teresa se lo chiede da adulta: troppi fantasmi le impediscono di vivere nel qui e ora.
Il Prof. Ciabatti era un massone, implicato in affari poco o per nulla leciti, avaro di denaro e amore, manipolatore, burattinaio che giocava con le vite degli altri, anche dei più stretti famigliari. Incapace di slanci affettuosi, preoccupato solo di sé e della propria reputazione. Ipocrita. Malvagio. Bugiardo. Traditore.

Eppure lei, Teresa, era la più amata. O almeno così si è sentita per una parte della sua infanzia. La prediletta di un padre speciale, che le concedeva tutto e la viziava, diventa una ragazza insofferente, nevrotica, instabile, con un rapporto distorto col cibo.
Cos’è successo? In quale momento Teresa si è incrinata?

Il confronto tra il mondo esterno e quello chiuso e artefatto della villa al mare, o dell’ospedale dove regna il padre, porta Teresa a ridimensionare l’onnipotenza, il suo essere unica e destinata a un fulgido futuro di soli successi. Incontra i primi fallimenti e i primi desideri non esauriti, avverte lo scollamento tra la realtà e l’immaginazione, sente la delusione di scoprire lei e il padre “normali”. Come sopravvivere senza andare in pezzi?

Teresa fa quello che può, si protegge, indossa una corazza che la tenga distante dall’abisso. Anche da adulta, con la figlia piccola ha timore, come se toccandola potesse romperla, rovinarla. Crede di non sapersi prendere cura, non è capace, non vuole, non se lo merita.
Teresa manda in frantumi tutto ciò che tocca, persone e cose, meglio starle alla larga. Teresa è ancora la bambina svenuta nella piscina vuota della villa al mare; non è mai cresciuta. O forse sì, ma è solo un brutto sogno.

Come si può amare qualcun altro se non si ama se stessi?

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