Potere. Potere e controllo. Onnipotenza, insomma.
La sensazione data dal calo veloce dei chili sulla bilancia. La percezione potente del legame causa-effetto tra la conta dei chicchi di riso e la perdita di peso. Rituale rassicurante, certezza del risultato, ebbrezza del dominio sul corpo.
Un corpo odiato. Un corpo da annullare.
Non è mai servito ad alcunché. Ingombro, peso, fatica.
Incapace di fare sport, maldestro nei movimenti, goffo, preso in giro.
Sedersi e sentire la carne molle dell’addome che si arrotola e sporge in fuori, ostentando la sua bruttezza con fastidiosa arroganza.
Tutti gli sguardi cadranno su questa pancia che non sento parte di me, che non tollero. Lo so, guarderanno solo qui.
“Qual è il tuo più grande desiderio?”
Scuoiarmi.
Spogliarmi della pelle, della carne, di tutto. Togliermi questo inutile fardello che mi porto dietro. Essere trasparente, leggera, inconsistente. Puro spirito.
Fuggire gli specchi, l’immagine che mi rimandano: un ammasso di carne sgraziato, senza proporzioni, sgradevole.
Analizzo ogni singolo alimento che dovrà entrare nel mio corpo, dettaglio precisamente macronutrienti, calorie, combinazioni.
In principio tento anche di seguire criteri “sani”, alterno proteine, carboidrati, fibre, ma continuo a sentirmi ingombrante e la bilancia non dice quello che vorrei. Così comincio a togliere un po’ di tutto: le foglie di insalata, gli spicchi degli agrumi, verifico, controllo, peso, scarto.
Troppo, ancora troppo.
Bevo molta acqua, prendo lassativi, voglio depurarmi. Ogni volta che ingoio qualcosa di solido mi sento sporca, piena, mi vergogno. Seguo il percorso del bolo: bocca, gola, esofago, stomaco; percepisco il passare di ogni singola parte di cibo, granelli di odio che entrano in me. Non li voglio. Solo spirito, la carne è male.
Perdo peso sempre più velocemente, finalmente sento di poter controllare il mio corpo prima ribelle. Ora è docile, sta al suo posto, buono, ogni giorno più leggero e meno prepotente. Non pretende più di essere il protagonista: adesso le persone quando mi guardano possono vedere me e non lui.
Nella mia giornata mangio 3 pezzi di mela da 10 grammi ciascuno, 10 fili di carota tagliati sottili, un albume cotto e bevo acqua. Sono felice, anche se mi stanco più facilmente di prima. Mi chiedono come faccia a stare in piedi: ma io sto bene, non vedete? Studio, vado in palestra, sto bene.
Mia madre non compra più le riviste perché dice che ci sono ragazze troppo magre e mi influenzano. Come se mi importasse di quelle là. La questione è solo tra me e il mio corpo.
I miei genitori sono preoccupati, dicono che se continuo così potrei morire, pensano di ricoverarmi. Non sono così magra, tra l’altro. Quando mi guardo allo specchio vedo ancora curve odiose. Loro dicono che non ci sono, ma io so che mentono. Sono invidiosi di me, di come riesco a controllare tutto. E allora provano a spaventarmi, a dirmi che sono malata.
E poi, cosa vogliono? Quando ero grassa non mi chiedevano se stavo bene, se qualcosa non andava. E io volevo solo essere vista. Ora che peso poco più di una bambina invece, e dovrei essere trasparente, mi stanno col fiato sul collo. Perché non hanno continuato a ignorarmi?