“I detestabili otto”: in effetti, i protagonisti dell’ultimo film di Tarantino non sono proprio persone simpatiche: ognuno possiede una buona dose di violenza, avidità, cattiveria, anche se alla fine li ami tutti lo stesso, a dispetto del titolo.

Ok, confesso subito di essere di parte perché amo Quentin Tarantino e il suo modo di raccontare storie, ma davvero le quasi tre ore di proiezione sono passate senza che me ne accorgessi. Volate. E non è proprio scontato, visto che il film è ambientato praticamente tutto in un emporio sperduto sulle montagne del Wyoming durante una bufera di neve.

Siamo nel periodo successivo alla guerra di secessione americana, e i protagonisti che l’hanno animata sono ancora vivi, così come i loro rancori reciproci.  Gli Stati Uniti cercano di darsi una struttura democratica unitaria, ma è difficile costruire una grande nazione da zero. Diciamo che regna un simpatico caos, nonostante i mandati che ognuno, su richiesta, esibisce a garanzia della legalità del proprio ruolo: sceriffi, cacciatori di taglie, boia.

Lo stratagemma narrativo peculiare del thriller di rinchiudere un gruppo di persone, tutte sospette e tutte possibili bugiarde, in uno spazio isolato per un tempo abbastanza lungo non è certo inedito -a me per esempio ha ricordato subito “I dieci piccoli indiani” di René Clair, ma vi sono davvero molti altri film a cui far appello- tuttavia, Tarantino riesce a creare ugualmente attenzione e coinvolgimento. Alcune scene splatter, i personaggi spesso surreali o molto caratterizzati, meccanismi propri del genere western visti innumerevoli volte, non tolgono veridicità o suspense alla trama. Non pensi di essere davanti a un film di fantascienza o in costume; ti cali nel tempo della presidenza di Abramo Lincoln – spesso citato dai protagonisti – e dai credito alla storia che ti stanno raccontando.

I protagonisti, dicevo.  Le loro vite si incrociano per caso, eppure ognuno scopre di avere dei legami con qualcuno degli altri; alla fine in pratica si conoscono tutti, per fama o direttamente. Spesso mossi da voglia di vendetta, sospettosi e guardinghi, non si fanno scrupoli a sparare. E sono a loro modo simpatici: merito dei dialoghi che recitano, spesso sarcastici, sicuramente un po’ surreali messi in bocca a personaggi decisamente grezzi. Ma è anche per questo che adoro Tarantino: la capacità di sorprenderti e di spiazzarti nelle trame che appaiono scontate (c’è chi può aver pensato: un altro Western? No, grazie), la cura nei dettagli, l’eccesso costruito di alcune scene.

Quentin, marry me!

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