Ho letto Pastorale Americana di Roth prima di diventare madre; ho visto il film che Ewan McGregor ne ha tratto dopo aver avuto mia figlia.
Credo sia qui la sola grande differenza, la lente attraverso cui la medesima storia acquista proporzioni, colori e coinvolgimenti diversi. E questo è l’unico accenno che farò al libro: non intendo confrontarlo con il film. Credo che ogni opera sia compiuta in sé, e si animi attraverso le vite di coloro con cui entra in contatto.
Sono certa che da adolescente avrei condannato senza appello questi genitori che sembrano così perfetti ma che evidentemente non sono capaci di giocare il loro ruolo con efficacia. Oggi, invece, non vedo nei loro comportamenti degli elementi tanto gravi da instillare nella figlia Merry la reazione eclatante che avrà. Cercano di dare il meglio, di educarla secondo i loro princìpi. Poteva andarle molto peggio, eppure. Eppure non basta perché la vita proceda serena.
American Pastoral è un infinito gioco di specchi, di maschere che ognuno indossa, dello slittamento tra ciò che si è e ciò che si vuol apparire, del dramma eterno di trasferire sugli altri l’idea che abbiamo di loro, corrisponda o meno alla realtà.
Il campione di football, la reginetta di bellezza, la figlia perfetta: tutti incastrati nei loro ruoli, in modo più o meno cosciente, incapaci o senza la voglia di capire se stanno vivendo una vita che appartiene a loro o agli altri.
Tutto fila tranquillo finché uno degli elementi dell’ingranaggio si rompe, non risponde alle richieste della famiglia e della società, si ribella. E, poco a poco, l’intero meccanismo impazzisce, non si tiene più insieme da solo.
Ognuno reagisce come può e come riesce. Chi prova a dimenticare tutto e partire da zero, oppure chi si accanisce nel cercare un senso, una giustificazione, un motivo che spieghi come l’impensabile sia potuto accadere.
Un tarlo, un’erosione continua scava nell’anima di Merry, fino a renderla pericolosa, vulnerabile e vulnerante, spaventosamente barricata negli slogan che, ripetuti senza contesto e senza ragione critica, risultano solo lettere accorpate senza un senso.
E i genitori assistono impotenti, incapaci di capire cosa la spinge: la osservano come un’estranea, non la riconoscono più. Senza farsi la domanda fondamentale: hanno mai guardato davvero Merry o si sono limitati a vederla come desideravano fosse?
Così è, se vi pare.